Perché le tradizioni antiche parlano così tanto di silenzio? Nella nostra società, dove tutto sembra concorrere al riempimento, alla quantità, alla velocità e al rumore della vita, può apparire incomprensibile la ricerca del vuoto, della qualità, della lentezza e del silenzio.
Ma è proprio l’eccesso di tutto, spesso contrabbandato come efficienza, che ci allontana dal cuore della vita e rende necessario che impariamo di nuovo a fare silenzio, a stare nel silenzio. E’ il punto di partenza, la base.
E’ nel silenzio che si sente la voce interiore, quella che arriva dalle regioni più alte della nostra psiche e ci apre la strada verso le nostre “altre vite”. Si tratta della strada che tocca i luoghi della crescita, dell’allargamento dei nostri orizzonti interiori. Percorrere questa strada significa nutrire e portare al miglior equilibrio possibile i nostri chakra, i centri di energia che influiscono sul corpo e sulla psiche e il cui stato si riflette sulla nostra vita quotidiana.
E’ il superamento delle coordinate che ci vengono proposte dall’esterno e che concorrono alle scelte quotidiane nella vita personale e nel lavoro. E queste scelte, inevitabilmente, si esprimono nel nostro stato di salute o di malattia, di benessere o di malessere.
Per entrare in questo territorio il primo passo da fare è creare lo stato di silenzio interiore. Non è difficile farlo, occorre innanzitutto desiderarlo sapendo che il silenzio è un bisogno antico che ogni essere umano ha.
Proviamo a dedicare qualche minuto al giorno a questa ricerca, senza aspettarci nulla. Stiamo in solitudine, con i dispositivi elettronici disattivati, anche solo dieci, quindici minuti; e non facciamo nulla, stiamo semplicemente lì, esattamente come sta lì un fiore, un filo d’erba una montagna, un neonato. Chiudiamo gli occhi, che intanto riposano e si riabituano ad un sguardo diverso. E stiamo lì, semplicemente, lasciando che il silenzio accada.
Maria F. Rummele