Ogni asana, posizione di yoga, è una creatura in divenire. Entriamo in una posizione, cerchiamo di realizzarla in modo stabile creando allineamento ed equilibrio. Poi stiamo lì, vigili, lasciando che anche nella mente si generi stabilità ed equilibrio. E poi, non ce ne accorgiamo, ma succede qualcosa in una parte ancora ancora più sottile, sconosciuta e misteriosa, che è la dimensione di quello che dobbiamo ancora diventare.
Mentre siamo nella posizione è bene dimenticare quello che sappiamo dello yoga e anche quello che pensiamo di sapere di noi; stiamo semplicemente lì senza aspettative, stabili ed allineati. In questa fase molto può cambiare, il tempo si espande quasi ad integrarsi con il passato ed il futuro. Anche lo spazio si modifica. Il respiro guidato e profondo rende possibile l’immobilità dell’asana, mentre all’interno del corpo ogni sua cellula entra in risonanza con le altre; miliardi di cellule vibrano con una stessa intenzione e tendono verso qualcosa di più grande. Si mette in movimento così una forte energia che fa espandere la coscienza e ci indica la strada verso le nostre altre vite.
Le altre vite che possiamo vivere adesso e da quì in poi. Si crea una sorta di acutezza visiva che porta lo sguardo oltre i confini usuali. Se siamo vigili ci accorgiamo che viviamo ben al di sotto delle possibilità della vita ed iniziamo a sentire che ci manca qualcosa. È il forte senso di mancanza che ci mette in moto e ci guida verso l’alto o, se si preferisce, verso la profondità. A patto di desiderarlo e di tradurre il desiderio in azione. È il karma, l’azione.
Qualcuno domanderà dopo quante volte che eseguiamo un’asana può accadere. Tutto questo non ha a che vedere con numeri e quantità. Le coordinate spazio temporali saltano ed entriamo in una sorta di altra dimensione, una sorta di zona di confine dove non contano i numeri di quello che facciamo ma la sua profondità o, se preferiamo, la sua leggerezza. Non c’è più alto né basso, c’è un allargamento dell’io.
Può iniziare ad accadere dopo poche volte o dopo tante, non importa.
Importa solo lo stare lì, sentire il corpo e i suoi fastidi o mutamenti, sapendo che non siamo solo il corpo; osservando il flusso dei pensieri con distacco sapendo che non siamo solo i nostri pensieri. Percependo le nostre emozioni certi di non essere solo le nostre emozioni. E allora sentiamo l’energia che sale lungo la colonna vertebrale e illumina la strada.
A patto che ci dimentichiamo di quello che sappiamo dello yoga, e di quello che pensiamo di sapere di noi.
Maria F. Rummele