In questo periodo in cui l’immagine è tanto importante, il rischio di perdere la propria identità è dietro l’angolo.
L’immagine che tante, davvero tante persone, desiderano avere, è quella che nel loro immaginario risponde alle aspettative di qualcun altro. Le conferme degli altri, spesso attraverso i “like”, diventano testimoni fondamentali ed affidabili della propria esistenza e del proprio valore. Ma cosa finisce per esistere davvero? Semplicemente l’appartenenza ad una massa, anche solo ad un gruppo; l’adesione ad un modello comune che non può che indebolire, fino ad annientarla, la creatività individuale. Se aderisci ad esempio ad una immagine condivisa di successo, molto probabilmente le avrai sacrificato qualcosa di ciò che prima ti rendeva unico.
L’adesione ad un modello comune, e quindi ad un “noi”, crea inevitabilmente una contrapposizione agli altri, ai “voi”. Entra in gioco una sorta di bisogno di riconoscersi nei propri simili, in quelli nel cui stile di vita, modo di pensare e aspirazioni ti puoi riconoscere confermando e rinsaldando l’immagine e l’appartenenza al gruppo. Quelli che “parlano la tua lingua”, una sorta un ceto sociale. Copiare e incollare parole, pensieri e comportamenti diventa l’abitudine, la rassicurante regola che fa sentire di essere come i propri pari. Diventi un predatore di parole, cacciatore di situazioni di cui approfittare, sempre sul pezzo, come si suol dire, per arrivare. Professionista dell’opportunità da cogliere e cultore dell’immagine.
A qualunque gruppo tu appartenga non sei tu, sei una parte del gruppo; ed uno vale l’altro, un noi sterile in cambio di un io fertile.
Pensa ora come ti sentiresti se fra qualche anno ti accorgessi che seguendo la tua personale vocazione e la tua specificità saresti stato davvero tanto più felice. Osserva da quante parti di te devi distogliere lo sguardo per aderire ad un modello. Guarda quante direzioni il tuo orizzonte deve necessariamente escludere perché tu possa far parte di quel “noi”. E poi accorgiti di quanti sei costretto a giudicare o disprezzare per legittimare tutto questo
Si tratta di misura. La tua, la mia, quella di ciascuno di noi. Ognuno ha la propria, e se ci dedichiamo a cercare e realizzare la nostra personale misura, mettiamo in atto quello che Jung definì processo di individuazione. Ed ecco che nutriamo i nostri chakra ed aumenta il livello di energia. Ed è con questa energia che possiamo riuscire a liberarci dalle briglie della mente limitata per esplorare gli sconfinati spazi della psiche, territori di concreta realizzazione personale e di felicità
Maria F. Rummele